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UN LUPO MANNARO AMERICANO A LONDRA
(AN AMERICAN WEREWOLF IN LONDON)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 7 ottobre 1982
 
di John Landis, con David Naughton, Jenny Agutter, Griffin Dunne, John Woodvine, Brian Glover (Stati Uniti, 1981)
 
Il fantastico è di moda, e tutti ci provano. Un regista attento al "sociale" come Paul Schrader nel recente CAT PEOPLE, o qui uno specialista del genere burlone, John Landis, a suo tempo lodato (forse troppo) per i suoi BLUES BROTHERS e AMERICAN COLLEGE.

L'originalità di questa storia di lupi mannari risiederebbe nel tono del racconto: descrivere cose raccapriccianti facendo dello spirito. Quella risata nei confronti dell'orrore che dovrebbe anche possedere, se non sbaglio, effetti terapeutici. Il pensiero corre invariabilmente ad un capolavoro del genere. Quel The Fearless Vampire Killers dalla traduzione idiota (Per favore... non mordermi sul collo!), nel quale Roman Polansky fondeva la satira di un genere e la traduzione oggettiva del medesimo con armonia irripetibile. Il vampiro inseguiva l'eroe, i denti aguzzi stavano per conficcarsi nel collo, l'orrore ci incollava alle poltrone quando, zac, la vittima infilava un librone polveroso nelle fauci del mostro, che non riusciva più a toglierselo dai canini. Tutto questo non riesce a Landis: l'inizio del film è ottimo, perché la storia è presa sul serio. E la descrizione dei due studenti americani che si perdono nelle lande dell'Inghilterra del nord è precisa e carica di suspense. Ma quando il tono deve farsi assurdo (le gaffes degli investigatori) o farsesco (il tono di recitazione del protagonista) i conti non tornano. Non si ride e non si piange, ma non nel senso dissacrante inteso dal regista. Così sequenze originali (l'incontro con i morti-vivi nel cinema porno di Soho) o spettacolari (l'inseguimento nel metro, con la steadycam che riprende dal basso il terrore della vittima) sono sprecate. Landis si conferma autore di talento, oltre che di successo: ma da lui si aspetta sempre, oltre che la trovata brillante da raccontare agli amici, l'opera matura. Completa, come il suo lupo mannaro, di capo e di coda.

Rivisto a qualche anno di distanza, il film può anche dettare osservazioni più generose... E cioè:

Un lupo mannaro americano non vuol essere soltanto un film d'orrore (cosa che gli riesce a tratti perfettamente: c'è, nel film di Landis, quella bellezza dell'orrido che il Dario Argento di Phenomena ricerca con affanno), ma qualcosa di ancora più difficile. Il pastiche del grottesco, quella ricerca dell'equilibrio fra terrore umorismo caro a un Polanski.

Onestamente, la cosa non riesce a Landis. Ma il film è egualmente zeppo di momenti abilissimi, se non addirittura poetici. Tra i primi, tutte le sequenze iniziali nel villaggio scozzese, in attesa della comparsa del terribile lupo mannaro. O l'happening a Piccadilly Circus, con il traffico sconvolto dall'apparizione del mostro e la testa dell'investigatore cretino che vola via. O il terrore alla steady-cam nei corridoi della metropolitana. O ancora l'originalità dell'incontro con i morti-vivi nel cinema porno di Soho. E l'humour dissacrante dei dialoghi.

E il tema dell'amore, al quale spetterebbe di risolvere il problema del dilemma del malcapitato mannaro, il sottile gioco fra realtà e finzione che finisce col far identificare lo spettatore al destino del pur spaventoso squartatore.

Un film sbagliato, ma quanto talento nelle immagini di Landis...


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